05 giugno 2007

La rubrica prosegue su...

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16 febbraio 2007

L'uovo a 65 gradi

Esperimento: Cottura dell’uovo a 65 gradi

Materiale: Uova, acqua, sale

“Non sa neppure far bollire un uovo!” si lamenta a volte qualche moglie del marito, come se bollire un uovo fosse la cosa piu’ semplice del mondo, indice di una misera capacita’ culinaria. Eppure cuocere un uovo in acqua e’ meno semplice di quanto sembri a prima vista.

Un uovo di gallina e’ composto al 74% di acqua, al 12% di proteine e all’11% di grassi con tracce di vitamine, minerali e altre sostanze. Il grasso e’ concentrato esclusivamente nel tuorlo, mentre l’albume e’ sostanzialmente una soluzione al 10% di proteine in acqua.
Sono le proteine, e la loro capacita’ di coagulare all’aumentare della temperatura, che ci permettono di preparare un uovo sodo. Possiamo immaginare le proteine, sia nell’albume che nel tuorlo, come dei gomitoli di lana sospesi in un’oceano d’acqua. Aumentando la temperatura alcune proteine cominciano a “srotolarsi” parzialmente: si “denaturano”. Quando due proteine denaturate si incontrano si possono legare tra loro. A poco a poco si forma un reticolo tridimensionale solido di proteine che intrappola le molecole di acqua al suo interno: e’ avvenuta la coagulazione. Se tuttavia questa procede troppo a lungo, il reticolo proteico diventa cosi’ fitto che “strizza” fuori le molecole di acqua, l’albume assume una consistenza gommosa e poco appetibile mentre il tuorlo diventa secco e quasi sabbioso.

Consiglia Pellegrino Artusi nel suo “La scienza in cucina e l’arte del mangiare bene”:




Le uova a bere fatele bollire due minuti, le uova sode dieci, cominciando a contare dal momento che le gettate nell'acqua bollente; se vi piacciono bazzotte, bastano sei o sette minuti, e in ambedue i casi, appena tolte dal fuoco, le metterete nell'acqua fredda.


A 100 °C l’albume e il tuorlo coagulano entrambi, ma poiche’ il tuorlo e’ piu’ lento a cuocere, essendo piu’ interno, l’albume rischia di stracuocere. A seconda della consistenza desiderata dell’albume e del tuorlo le ricette tipicamente consigliano un tempo di cottura, spaziando dall’uovo alla coque all’uovo sodo, da 2-3 minuti a 10 minuti dal momento in cui viene deposto nell’acqua bollente. Il suggerimento dell’Artusi di mettere le uova in acqua fredda serve per bloccare la cottura.
In realta’ il segreto di una buona cottura dell’uovo non e’ il tempo ma una temperatura controllata. Si dovrebbe cuocere l’uovo alla temperatura a cui le le proteine coagulano, che e’ sempre minore di 100 °C. Vi sono diverse proteine nell’uovo, e ognuna coagula a temperature diverse. L’ovotransferrina, nell’albume, comincia a coagulare a 62 °C e diventa un solido morbido a 65 °C. Poiche’ l’ovotransferrina costituisce solo il 12% delle proteine dell’albume, questo rimane morbidissimo. A 85 °C anche l’ovalbumina, che costituisce il 54% delle proteine dell’albume, coagula, e il bianco diventa piu’ compatto. Il tuorlo invece si inspessisce a 65 °C e solidifica a 70 °C.

Se avete pazienza e un termometro da cucina per tenere sotto controllo la temperatura dell’acqua, potete provare a cuocere un uovo mantenendo l’acqua per un’ora a circa 65 gradi. Se vi piace l’uovo morbidissimo la vostra pazienza sara’ ricompensata dall’incredibile consistenza ottenuta con questa cottura, che, sappiatelo, viene anche eseguita in alcuni famosi ristoranti a tre stelle.

Poiche’ non sono dotato di un bagno termico o di un forno che mantiene la temperatura al grado ho dovuto arrangiarmi. Ho preso una pentola grande con 3 litri di acqua. Piu’ acqua c’e’ meglio si riesce a mantenere il controllo della temperatura.
Ho preso due uova e le scaldate leggermente in un pentolino (40 gradi) perche’ fosse piu’ dolce la transizione verso l’acqua calda, per evitare che si crepasse o rompesse il guscio. Nel frattempo ho messo a scaldare l’acqua,. Ho aspettato che arrivasse 70 gradi, ho chiuso il coperchio, spento il fuoco, spostato la pentola sul fuoco piu’ piccolo (tenuto spento per ora), inserito il termometro, e aspettato che la temperatura arrivasse a 65 gradi esatti. A quel punto usando un cucchiaio ho depositato delicatamente le due uova nel fondo della pentola, lontane tra loro, dopo aver messo un cucchiano di sale per aiutare la coagulazione dell’albume nel malaugurato caso in cui il guscio si fosse crepato.

La temperatura pian piano scende, e raggiunti i 64.5 C riaccendevo la fiammella, tenendola al minimo, quasi spenta, per il tempo necessario per far risalire la temperatura a 65 C (circa 1 minuto). A causa dell’inerzia termica dopo aver spento il gas la temperatura aumentava ancora di un paio di decimi di grado. Arrivando a 65.2. Con la mia pentola e alla temperatura della mia cucina servono circa 10 minuti per ritornare a 64.5. Questa procedura e’ durata 1 ora, per essere sicuri che il tuorlo avesse raggiunto la consistenza desiderata.


Dopo 1 ora estraete delicatamente l’uovo, e apritelo su un piatto


Poiche’ a questa temperatura solo una delle proteine dell’albume e’ coagulata, il bianco ha una consistenza incredibilmente morbida. Il tuorlo invece non e’ piu’ liquido ma e’ cremoso

Forse per servirlo al meglio avrei dovuto preparare qualche salsina, ma non essendo uno Chef ho preferito dell’umile Sale e Pepe (ma se qualcuno ha dei consigli......)

Ovviamente potete anche sbizzarrirvi e cuocerlo a 64 o 69 gradi, e saggiare la diversa consistenza. Vi accorgerete come due gradi in piu’ o in meno cambino la consistenza sia del tuorlo che dell’albume.
Prima che mi diciate "Ma vale la pena cuocere 1 ora due misere uova?". Ovviamente non e' una cosa che farei sempre, ma data la consistenza assolutamente mai assaggiata, si, ogni tanto lo rifaro' :)

Se invece preferite seguire l’Artusi, comunque fate sempre attenzione ai tempi. Facendo bollire troppo un uovo oltre ad ottenere una consistenza gommosa dell’albume, e secca e granulare del tuorlo, potrebbe anche formarsi una pellicola verdognola attorno al tuorlo. Nell’albume si sviluppa un poco di solfuro di diidrogeno (H2S), quel gas con la puzza di... uova marce. A contatto con il ferro presente nel tuorlo si forma il solfuro di ferro, che fornisce la colorazione verdognola, un poco repellente e antiestetica, ma del tutto innocua e commestibile.

10 novembre 2006

Pentole e Provette. Nuovi orizzonti della gastronomia molecolare

di Dario Bressanini [Le Scienze 435]


Pentole & provette. Nuovi orizzonti della gastronomia molecolare.
di Hervé This
I Saggi del Gambero Rosso, 2003, pp. 254 (euro 16,00).

Filtrare, riscaldare, raffreddare lentamente o bruscamente, mescolare, portare all'ebollizione, diluire, aggiungere ghiaccio, mettere in frigorifero. Sono gesti di tutti i giorni in un qualsiasi laboratorio chimico in qualunque parte del mondo. E sono le stesse operazioni che chiunque fa in cucina, dal più famoso degli Chef alla massaia. Non a caso, i chimici in laboratorio parlano scherzosamente di "ricette" quando seguono elaborate procedure per sintetizzare una molecola. Non deve stupire, perciò, se un chimico-fisico appassionato di gastronomia decide di mettere la scienza al servizio della buona cucina. Hervé This lavora all'Istitut National de la Recherche Agronomique a Parigi e tiene da anni una rubrica di "scienze in cucina" per Pour la Science, edizione francese di Scientific American. Il suo Pentole & Provette sta diventando rapidamente un testo sacro della "gastronomia molecolare", l'insolita disciplina che studia la buona cucina dal punto di vista dei processi chimici, fisici e biologici che avvengono nelle pentole, nelle padelle e nel resto dell'attrezzatura gastronomica. Può sembrare strano che su Le Scienze si parli di un libro dove maionese, brodo, marmellate e soufflé la fanno da padroni. Ma è almeno altrettanto strano che un testo che descrive la cottura della carne attraverso lareazione di Maillard delle proteine, e l'annerimento della frutta tagliata tramite l'azione della polifenolossidasi sia pubblicato tra i saggi del Gambero Rosso. Eppure Hervé This ci avvisa che non c'è contraddizione: che cos'è la gastronomia se non l'arte dei processi fisici e chimici che avvengono durante la preparazione e la degustazione dei cibi? Il libro è diviso in quattro sezioni composte di agevoli capitoletti di un paio di pagine ciascuno. Nella prima si indaga su detti, proverbi e tradizioni culinarie: è vero che per fare il brodo la carne deve essere immersa nell'acqua fredda? E che i bianchi d'uovo non montano se si cambia senso di rotazione durante l'operazione? E perché si dice che gli gnocchi sono cotti quando vengono a galla? A volte i consigli della tradizione trovano il conforto dell'indagine scientifica, a volte vengono clamorosamente smentiti dall'esperimento, e scopriamo che per preparare un buon brodo è ininfluente la temperatura iniziale dell'acqua. Così come inserire un cucchiaino nel collo di una bottiglia aperta di spumante o champagne non ne impedisce assolutamente la perdita d'effervescenza, nonostante una credenza popolare affermi questo. La seconda sezione esplora la fisiologia del gusto, e veniamo a sapere che la bocca identifica solo cinque sapori: i quattro "classici" (dolce, salato, amaro, acido) più l'ultimo aggiunto, l'umami (termine giapponese che significa semplicemente "gusto"), che potremmo identificare grossolanamente nella sapidità. Sapore per altro già noto da secoli alla cucina orientale che ne sfrutta spesso le caratteristiche aggiungendo ai cibi del glutammato monosodico, stimolatore del gusto umami. La fisiologia del gusto è in realtà più complessa, continua This, perché ad esempio pare esistano ben cinque diversi tipi di "amari", ognuno con dei recettori specifici. La terza parte del libro è dedicata all'esplorazione e alla modellizzazione di molti processi gastronomici: dalla preparazione delle marmellate a quella delle gelatine o della besciamella, dove ci viene suggerito, su basi rigorosamente scientifiche, come evitare la formazione dei grumi, vergogna di ogni cuoco. Il vino ovviamente non poteva sottrarsi alla curiosità scientifica di un chimico-fisico francese, e svariati capitoli gli sono dedicati. La quarta parte, "una cucina per domani" è forse quella più stimolante. Se la scienza è in grado di indagare i meccanismi gastronomici, perché non provare a modificare e migliorare le ricette della tradizione in base alle conoscenze acquisite? O addirittura inventare nuove ricette? Per esempio, la crema Chantilly è una mousse preparata sbattendo la panna con la frusta in un recipiente freddo. Analizzando il processo, This si chiede se si possa creare un "cioccolato Chantilly". E, in un attimo, ecco fatto! Subito preparata una mousse di cioccolato che, contrariamente a quella classica, non ha bisogno di panna fresca o albume montato a neve. Alla fine della lettura del libro rimane solo un piccolo rimpianto: This è francese, e giustamente si addentra nei segreti della gastronomia transalpina, tra foie gras e Champagne, reblochon e quiche lorraine. La cucina italiana è però altrettanto interessante (e gustosa) e sarebbe bello che prima o poi qualcuno ci raccontasse con la stessa passione la chimica del pesto o la termodinamica della pizza...

09 novembre 2006

La Scienza della Pizza

di Dario Bressanini [Le Scienze 453]

L'impasto e la lievitazione sono fondamentali per la riuscita di uno dei piatti Italiani piu' famosi nel mondo: meglio affidarsi alla chimica e alla termodinamica

In molte famiglie resiste ancora la tradizione di preparare la pizza in casa impastando acqua, farina e lievito. Una conoscenza dei processi chimici e fisici che avvengono durante la preparazione dell'impasto può aiutare noi pizzaioli casalinghi a preparare una pizza migliore. Esistono vari tipi di farine, ottenute macinando i più svariati cereali, ma quella utilizzata per preparare la pizza è la farina di frumento che contiene circa il 70% di amido, un carboidrato, e tra l'8% e il 13% di proteine. La farina di frumento si distingue da molte altre per presenza di due proteine, la glutenina e la gliadina, che a contatto con l'acqua formano un complesso proteico chiamato glutine, che dona all'impasto quell'elasticità e plasticità fondamentali per trasformarlo in pizze, focacce e pane di mille forme diverse.
Un altro ingrediente fondamentale e' il lievito, il cui scopo è di produrre anidride carbonica, usata per gonfiare l'impasto. I lieviti sono organismi viventi unicellulari che appartengono al regno dei funghi. Questi organismi, comunemente usati per produrre pane e bevande alcoliche, a contatto con l'acqua, attraverso il processo di fermentazione, trasformano gli zuccheri presenti in anidride carbonica e alcool. Quando sciogliete in acqua il lievito dovete avere l'accortezza di usare acqua tiepida ma a temperatura non superiore ai 45-50 gradi, per non ucciderlo prima che abbia svolto il suo compito, altrimenti non riuscirà a lievitare l'impasto.
In commercio vi sono anche confezioni di pizza a lievitazione istantanea, con l'agente lievitante già miscelato alla farina. In questo caso non si tratta di organismi viventi ma di una miscela di due o più composti, solitamente una sostanza alcalina, il bicarbonato di sodio, e una sostanza acida, quale il tartrato acido di potassio (il cosiddetto cremor tartaro) o il glucone delta lattone, che in presenza di acqua reagiscono immediatamente producendo CO2. In questo caso verranno a mancare all'impasto quegli aromi che sono tipici dei lieviti e che conferiscono un sapore caratteristico.
Una volta formato il glutine, bisogna impastare. Durante l'impasto le molecole di glutine iniziano a formare delle lunghe catene. Più a lungo s'impasta, più le catene di glutine si allungano allineandosi le une con le altre, creando legami tra loro e formando un complesso reticolo tridimensionale che conferisce elasticità alla pasta. Se il reticolo è sufficientemente fitto, aiutato anche dall'amido parzialmente idratato, sarà in grado di trattenere sotto forma di bollicine l'anidride carbonica formata durante la fermentazione. è per questo motivo che la fase dell'impasto è importantissima per la riuscita di una buona pizza: un impasto frettoloso non permette al glutine di formare il reticolo, e rimane solo una massa informe appiccicosa difficile da stendere sulla teglia. Dopo l'impasto il lievito agisce al meglio lasciando la pasta a riposo a circa 35 gradi.
Anche la percentuale di acqua aggiunta alla farina è importante al fine di far ottenere alla pasta della pizza la consistenza desiderata. Può capitare di aver sbagliato ad aggiungere l'acqua, di avere manipolato la pasta per troppo tempo, o di averla lasciata lievitare troppo poco. In questo caso la pasta è troppo elastica e non ne vuole sapere di essere stesa sulla teglia. Si può risolvere il problema "allentando" un poco il reticolo di glutine aumentando la temperatura. Tra i 60 e gli 80 gradi l'amido comincia a gelificare e le proteine iniziano a denaturare, cioè a cambiare la loro struttura. Mettete per pochi minuti la teglia con la pasta "recalcitrante" nel forno (iniziate a 60 gradi per evitare di seccare la pasta). Dopo il trattamento la pasta sarà meno elastica e si stenderà senza problemi.
Poi, come da copione, aggiungete mozzarella, polpa di pomodoro, un filo d'olio e un pizzico di sale. Infornate, e lasciate che la termodinamica faccia il suo corso.

25 ottobre 2006

Caffeina, la nostra "droga" mattutina

di Dario Bressanini [Le Scienze 455]

Consumato da milioni di persone ogni mattina, il caffè fa parte dello stesso gruppo di sostanze naturali della nicotina e della cocaina. Ma per fortuna è assai meno nocivo

Qual è la sostanza, parente della morfina, che ogni mattina milioni di italiani assumono per iniziare la giornata? No, non è uno scherzo: è la caffeina. Il suo nome chimico completo è 1,3,7-trimetilxantina e appartiene al vasto gruppo di sostanze naturali chiamate alcaloidi. A questo gruppo appartengono altre sostanze famose, e tossiche, quali la nicotina e la cocaina. La maggior parte degli alcaloidi ha un effetto fisiologico, e sin dall'antichità furono utilizzati estratti di piante contenenti alcaloidi a scopo medicinale, o come veleni. Fu l'alcaloide coniina nell'estratto di cicuta, per esempio, a uccidere Socrate. Anche la caffeina è tossica, ma solo in grande quantità: la dose letale si stima sia di circa dieci grammi, cioè l'equivalente di 100- 200 tazzine di caffe'. La caffeina è uno stimolante del sistema nervoso centrale. Il corpo però non la accumula, e se ne libera abbastanza velocemente. Le cellule nervose confondono la caffeina con l'adenosina, grazie alla struttura chimica simile. Quando l'adenosina si lega a un recettore in una cellula nervosa, causa sonnolenza. La caffeina "inganna" la cellula legandosi ai recettori dell'adenosina, ma senza creare sonnolenza.

La "scoperta" del caffè si perde nella notte dei tempi. Secondo una leggenda, l'arbusto cresceva selvatico in Etiopia. Un pastore ne scoprì gli effetti osservando che le sue pecore non dormivano più dopo essersi cibate dei frutti di quell'arbusto. Il caffè arriva a Venezia agli inizi del Seicento, e da lì si diffonde in tutta Europa. La caffeina fu estratta per la prima volta dai chicchi di caffè nel 1819. La stessa sostanza, isolata dalle foglie di tè nel 1827, venne chiamata teina. Solo in seguito i chimici capirono che teina e caffeina erano, in realtà, la stessa molecola. Molti saranno sorpresi di sapere che la caffeina è una polvere cristallina bianca e amara, e non è la responsabile dell'aroma e del sapore del caffè, che derivano da un'incredibile miscela di sostanze complesse presenti nei chicchi, diverse da varieta' a varieta'. è solo dopo la tostatura dei semi verdi, a temperature superiori ai 200 gradi, che il caffe' acquista l'aroma e il colore a cui siamo abituati. La tostatura altera drasticamente la composizione chimica dei chicchi: le proteine e gli zuccheri che vi sono contenuti reagiscono nella reazione di Maillard, formando centinaia di composti volatili che donano al caffè tostato il colore e l'aroma caratteristico. Ma allora, perche' il caffè decaffeinato ha un sapore diverso? A causa del processo di estrazione della caffeina con vari solventi dai chicchi ancora verdi. I solventi organici, quali l'acetato di etile o il diclorometano, purtroppo estraggono anche parte delle sostanze responsabili dell'aroma del caffe'. I processi moderni di decaffeinizzazione, a base di acqua o di CO2, sono più attenti a non togliere dai chicchi le sostanze responsabili dell'aroma. La caffeina non viene tolta completamente, ma è ancora presente sino allo 0,1 per cento. Durante la preparazione del caffè espresso, una piccola quantità d'acqua calda ad alta pressione viene rapidamente a contatto con il caffè macinato, estraendone le sostanze aromatiche. La rapidità del processo fa sì che una tazzina di caffè espresso contenga meno caffeina di una preparata con la caffettiera (circa 80 milligrammi contro 150). In più, a differenza di altri metodi di preparazione, un espresso contiene sostanze grasse che creano minuscole goccioline di oli essenziali che si fissano alla lingua e al palato e che donano all'espresso la tipica sensazione di cremosita'. è per questo che il sapore dell'espresso persiste più a lungo in bocca, e per toglierlo è più efficace il latte dell'acqua, per la maggiore affinità con i grassi.